La tecnologia fa ormai ogni giorno enormi passi avanti e proprio grazie a lei potremmo scoprire il tumore alla prostata: ma come funziona?
Come ben sappiamo, al giorno d’oggi l’intelligenza artificiale sta diventando ormai sempre più presente e soprattutto imminente nella vita di tutti noi.
Sono sempre di più, infatti, gli ambiti che sta coinvolgendo nel suo razzio d’azione e soprattutto gli aiuti e gli strumenti che sta mettendo proprio a nostra disposizione in qualsiasi ambito. Oggi, però, vogliamo parlarvi nello specifico di quelle che possono essere le applicazioni della tecnologia, e dunque dell’intelligenza artificiale, proprio in ambito medico. Ma cerchiamo di scoprire di più.
Diagnosi per tumore alla prostata con la tecnologia
Ebbene sì, sembra proprio aver avuto inizio un interessante e soprattutto un importante progetto europeo che potrebbe fare la differenza in campo medico. Stiamo parlando del cosiddetto Flute, che sta tentando di scoprire in che modo la tecnologia potrebbe avere un applicazione nel campo medico e soprattutto per quanto riguarda una maggiore e soprattutto più specifica diagnosi del tumore alla prostata. In particolare, infatti, questa tecnica dovrebbe basarsi proprio su un algoritmo che avrebbe la funzione di indicare agli specialisti quali sono i pazienti che necessitano di sopporsi a biopsia.
Come ben sappiamo, infatti, il tumore è alla prostata è forse il più diffuso nella popolazione maschile, ma nonostante questo al momento le applicazioni della tecnologia in questo ambito sono ancora molto scarne e soprattutto agli inizi. Proprio per questo motivo, l’avvento di questo nuovo progetto fa ben sperare tantissimi di noi e soprattutto attira l’attenzione di tantissimi esperti a livello internazionale viste che quelle che sono le premesse per il futuro medico e diagnostico. Il sistema su cui si baserebbe questa tecnica è infatti il Federated Learning.
In particolare, proprio grazie ai metodi e soprattutto all’algoritmo ideato da questa tecnologia e messo a punto da questo progetto, si potrebbe evitare di fare esami diagnostici non necessari e spesso invasivi anche a chi non ne ha bisogno. Ma, piuttosto, si avrà la possibilità di effettuare degli esami più mirati e soprattutto cercando così di azzerare ancora di più le tempistiche in questi casi così delicati.
Chiaramente la strada è ancora lunga, in quanto affinché questo algoritmo possa diventare realmente efficace c’è bisogno di tanti test e soprattutto allenamenti su un vasto numero di pazienti. Nonostante questo, però, il progetto sembra aver preso la giusta strada e, nel giro di tre anni, si prospetta la possibilità di avere davanti a noi i primi risultati di questi test.