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Teoria della classe disagiata, tra i saggi più rinominati

Foto dell'autore

Vincenzo Colao

Uno tra i libri più letti delle librerie, divenuto popolare soprattutto grazie al passaparola, è Teoria della classe disagiata di Raffaele Alberto Ventura.

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Da quale presupposto parte l’autore della teoria della classe disagiata

Qual è il momento nel quale l’autore ha l’ispirazione per questo saggio?

Il presupposto da cui parte l’autore è un saggio del 1899 che si intitola Teoria della classe agiata. Ventura ritiene che la classe che si poteva ritenere “agiata” nel periodo del dopoguerra, tanto da aver accumulato tantissime risorse che poi ha reinvestito (nell’educazione e nel lavoro), oggi si possa considerare disagiata

Diceva questo in virtù degli scarsi risultati ottenuti: ma il disagio è legato anche al problema della modalità di investimento di queste risorse, che andrebbe decisamente rivista dato che è generatrice di conflitto e di scelte irrazionali.

In sostanza, l’uomo appartenente a questa classe ha accumulato le sue risorse a partire dal boom economico: e poi che ne ha fatto? Le ha investite in titolo di studio nella speranza di poter poi reinvestire gli attestati scolastici per ottenere il cosiddetto “posto fisso”.

Se non ci fossero queste risorse accumulate, che fungono da una sorta di ammortizzatore sociale, sostanzialmente non ci sarebbe modo di poter avere una reale possibilità in tal senso.

Il motivo per cui questa massa di persone non riesce ad uscire da questo circolo vizioso (che sembra portarla ad un unico insoddisfacente risultato) è a causa della competizione che mette gli individui uno contro l’altro. Quindi, l’intenzione alla base delle interazioni sociali non è quella di cooperare per risolvere quella che, a ben vedere, è poi la vita di tutti o il futuro di tutti. In tal senso si potrebbe fare ricorso anche alla teoria dei giochi.

La condizione attuale dunque è una concorrenza latente o comunque nascosta che porta gli individui a diventare un capitale umano che, purtroppo, viene bruciato.

Riflessione sugli individui nella teoria della classe disagiata

Essi vengono letteralmente inghiottiti dal mercato del lavoro e, per la gran parte, vengono sottopagati.

L’autore individua due problemi principali. Il primo è che questaclassenon è una classe perché non ha una soggettività e il secondo è che questa classe è immersa costantemente nella condizione del conflitto che però essendo latente non è nemmeno un momento di reale condivisione e confronto. Un problema che viene analizzato è quello del dono.

Cosa succede a quelle persone che, ad un certo punto, per fare esperienza in un determinato campo o semplicemente per andare a gratificare a quel lato di se stesse che apprezzano di fare una cosa e acconsentono a farla gratuitamente, non guadagnando da ciò che fanno?

Queste persone hanno comunque la necessità di arrivare a fine mese e il problema non è solo questo, c’è un problema di stampo morale perché comunque i destinatari di quel lavoro ci guadagnano alle loro spalle.

Per risolvere questo dilemma la classe di cui si parla nel libro dovrebbe cercare di capire quali sono i suoi valori e le sue priorità e mettersi d’accordo su questi aspetti.

Per come stanno le cose oggi sono pochi quelli che riescono a entrare in maniera agevole nel sistema, secondo quelle che nemmeno sono regole, ma una sorta di libertà generalizzata.

È un po’ come il meccanismo del gratta e vinci: ogni tanto qualcuno vince e questa vittoria convince tutti gli altri a comprare lo stesso biglietto, nella speranza che prima o poi tocchi a loro.

La situazione italiana descritta nella teoria della classe disagiata

Italiani nel sistema scolastico

Gli italiani che sono inseriti nel sistema scolastico ormai, specie quando si tratta di facoltà umanistiche, non hanno minimamente informazioni rispetto ai reali sbocchi futuri.

La situazione vede coesistere un importante numero di quelli che l’autore definisce “sovraeducati” e tanti “sottoeducati”. Questa coesistenza genera due problemi opposti e collegati.

L’esubero di titoli di studio oltre che il loro accumulo finisce per andare a svalorizzare parecchio i titoli inferiori. Ad esempio, con tanti laureati con la specialistica, la laurea triennale ha un valore molto ridotto.

Chiaramente in riferimento a quanto questo titolo di studio possa poi essere speso, e dunque utilizzato come reale frutto del proprio investimento, nel mondo del lavoro.

Finisce dunque che i “sovraeducati” diventano gli attori più frustrati in assoluto, coloro con meno titoli investono a fondo perduto non sapendo poi come collocarsi sul mercato e i “sottoeducati” che hanno intuito che la laurea alla fine non dà un reale riscontro, ha agito alla base in maniera più razionale.

Hanno scelto di risparmiare non investendo negli studi per fare scelte completamente diverse ed evitare il rischio economico di buttare via tempo e denaro. Chiaramente sempre nella prospettiva di quanto possa rendere o meno la propria scelta.

Essendo i posti un numero limitato rispetto alle persone che ambiscono a quei posti, sono in tantissimi ad investire nella propria formazione e nella propria educazione e a trovarsi dunque impoveriti rispetto alle risorse di partenza perché è come se una promessa che aleggia nell’aria non venisse realmente mantenuta.

L’ambito culturale

Diciamo che si parla soprattutto dell’ambito culturale, sia per la formazione dell’autore di questo testo, sia perché la classe disagiata ha investito o pensa di disinvestire nella sua educazione, sulla base di ciò che ne può andare a trarre dal punto di vista economico.

Perché c’è chi ancora crede che ne valga la pena, cioè chi lo fa semplicemente seguendo il modello degli altri ma non ha le idee molto chiare, in alcune zone d’Italia dove ci sono impronte socio culturali differenti, si scelgono delle strade ancora da valutare.

Si vedono dunque contrapporre delle professioni particolarmente basate sull’astratto, quindi sulla cultura e sulla teoria, a professioni che sono molto più materiali e da un certo punto di vista vengono quasi considerate arcaiche e impraticabili perché oggi praticamente automatizzate in maniera integrale e non richiedenti speciali qualifiche.

Nel primo caso il problema è ottenere un posto, magari nell’Olimpo, senza scendere agli ultimi posti dove è difficile anche andare a sbarcare il lunario.

Nel secondo caso si pensa comunque di andare incontro a tutta una serie di difficoltà ma almeno, sempre da un punto di vista molto logico, le persone che fanno parte dei sottoeducati hanno il premio di consolazione di non aver buttato via anni di vita e una quantità imprecisata di denaro nella loro formazione.

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