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Ode all’ignoranza: quando sapere di non sapere fa bene all’anima

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Emiliano Fumaneri

A volte sapere di non sapere può farci bene? Dipende da ciò che intendiamo. Ecco quando l’ignoranza si presenta come una virtù.

Mai successo a volte di proferire frasi della serie «non dirmi nulla», «meglio non indagare», «preferisco non conoscere la verità», e così via? È un modo per evitare di ritornare su decisione già prese ed eventualmente modificarle alla luce delle nuove informazioni che potremmo acquisire.

Quando non voler sapere le cose torna utile
Fare gli “struzzi” a volte conviene: ma ci fa bene? – lintellettualedissidente.it

In maniera più colloquiale potremmo dire che stiamo mettendo in atto la classica tattica dello struzzo: infiliamo la testa sottoterra e non vogliamo saperne più nulla. O anche che stiamo imitando il comportamento delle tre scimmiette sagge (non vedo, non sento, non parlo).

In effetti il vecchio Socrate – uno che se ne intendeva – diceva che sapere di non sapere è il vertice della saggezza, anche se voleva dire ben altra cosa. Un conto infatti è sapere di non sapere, un altro è non voler proprio sapere. Comunque sia, a livello piscologico mettere apposta dei paletti al perimetro della nostra conoscenza ha un significato ben preciso, cerchiamo di capire di cosa si tratta.

Quando l’ignoranza ci fa molto comodo

In psicologia questo meccanismo si chiama “ignoranza intenzionale” (willful ignorance). Spesso lo utilizziamo come pretesto o scusa per comportarci da egoisti o per “autoassolverci” davanti a scelte che altrimenti ci farebbero venire più di uno scrupolo.

Come funziona l'ignoranza volontaria
C’è poco da fare: a volte ci tappiamo le orecchie non sentire verità scomode – lintellettualedissidente.it

Pensiamo al consumatore che preferisce non sapere come venga prodotto qualcosa che acquista abitualmente. Tipico caso è il petrolio, che serve per realizzare la benzina che fa spostare le nostre auto. Una miscela preziosa. Ma se sapessimo cosa c’è dietro alla supply chain necessaria per produrlo (leggere Il re nero di Leif Wenar per informazioni, che nell’originale titolo non a caso recita Bllood oil) forse ci penseremmo due volte prima di fare il pieno.

Il tema dell’ignoranza per scelta e delle sue conseguenze è stato affrontato da un articolo apparso sulla rivista Psychological Bulletin. Un team di ricercatori universitari (University of Amsterdam e Max Planck Institut di Berlino) ha analizzato 22 ricerche scientifiche sulla willful ignorance, per un totale di oltre 6.500 persone coinvolte. In più gli scienziati hanno effettuato test e sondaggi anche attraverso piattaforme virtuali.

Perché a volte preferiamo non conoscere le conseguenze delle nostre azioni

Dai risultati è emerso che in determinate circostanze tanti preferiscono restare ignoranti per non venire a conoscenza delle conseguenze spiacevoli delle proprie azioni giornaliere. Ad esempio, la ricerca ha citato il caso di uno studio in cui i partecipanti doveva scegliere tra una ricompensa da 5 dollari e una da 6.

Perché torna comodo restare ignoranti
Restare volontariamente ignoranti è un po’ come fare spallucce davanti alle conseguenze spiacevoli delle nostre azioni – lintellettualedissidente.it

Dopo la decisione, le persone coinvolte si sono viste dividere in due gruppi: il primo gruppo aveva la possibilità di conoscere o non conoscere le conseguenze della propria scelta, al secondo gli effetti invece erano comunicate prima di scegliere. Per chi avesse optato per una ricompensa minore di 5 dollari, ne avrebbe potuto beneficiare anche un’altra persona sconosciuta (o un ente benefico) con la stessa somma di denaro; chi avesse puntato sui 6 dollari invece avrebbe donato soltanto 1 dollaro.

Bene, i ricercatori si sono accorti che il 40% delle persone preferiva non conoscere le conseguenze della propria scelta per intascarsi in santa pace la cifra più alta. Secondo gli esperti l’elevata percentuale di “ignoranti intenzionali” è legata al loro minore grado di altruismo. Quando infatti i partecipanti optavano per conoscere gli esiti delle loro decisioni avevano il 15,6% in più di probabilità di essere maggiormente generosi. 

In sostanza, altro che saggezza! L’ignoranza intenzionale sarebbe una comoda scorciatoia per apparire “buoni” senza fare azioni che implicano un piccolo sacrificio. “Intenzionale” in questi casi è solo sinonimo di “utile”. Gli individui veramente altruisti non hanno timore di conoscere quali siano le conseguenze del loro agire.

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