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Zelensky sa come andrà a finire

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Armando Del Bello

Tira una brutta aria dalle parti di Zelensky ed è lui a dircelo, senza volerlo. Perché i gesti hanno sostituito il vocabolario. E parlano.

Se Volodymyr Zelensky decidesse di fare due più due la matematica non gli porterebbe buone notizie. Perché questa estate sono trascorsi due anni dalla presa di Kabul e nella ricorrenza i talebani sono scesi in strada a ricordarcelo. Ma più che una conquista quella di Kabul fu una fuga, con nulla di onorevole, e questo a Kiev dovrebbero tenerlo bene in mente.

zelensky cosa accade
Zelensky vede come andrà a finire-Credit ANSA-L’intellettualedissidente.it

 

Dovrebbe ricordarlo soprattutto il presiedente ucraino che nelle stesse ore dell’anniversario, in immancabile maglietta verde, faceva visita alle truppe nella regione del Donetsk e pubblicava gli scatti con i soldati, sorridenti o quasi. Alcuni di loro, ragazzini che odorano di latte ed uomini non più giovani – per tutti una famiglia che ha perso il sonno ad attenderli – fra qualche settimana saranno morti o feriti. Forse i feriti se la caveranno con poco. Forse malediranno a vita qualcuno.

La vita di Zelensky, dopo i selfie e le foto ricordo

Zelensky no, sarà ancora vivo e illeso, tutt’uno con quella maglietta verde che ci auguriamo avrà cambiato una volta o due. Zelensky comparirà da qualche parte, nel corridoio del Parlamento europeo, nei riflessi del Palazzo di Vetro, nelle tolette di un treno regionale o ad una festa di bambini per chiedere la stessa cosa di sempre: soldi ed armi. Dicono che la sua vita privata abbia bisogno di altro, ma che riesca ad ottenere senza chiedere perchè c’è chi conosce uno Zelensky intimo, lontano dai selfie con i soldati e dalle foto ricordo con i potenti della Terra, e sa di cosa. Sono cattiverie contro il presidente della nazione più democratica dell’Europa, l’Ucraina, e per questo suscita rabbia e invidia.

Zelensky e la guerra
Un lato che in pochi conoscono di Zelensky-Credit ANSA-Lintellettualedissidente.it

 

Certo nessuna inchiesta occidentale ne andrà a frugare i panni, possiamo esserne certi, fino a quando dall’altra parte dell’Oceano qualcuno avrà avuto abbastanza di lui e dei commerci di Kiev. Prima che arrivi quel momento, Zelensky dovrebbe fare due più due, dicevamo, e provare ad uscire da quel labirinto di Cnosso che è diventato il conflitto in Ucraina, Deve prendere carta, matita e provare a far di conto, perché a fuggire da Kabul, due anni fa, non furono russi, ma i nostri amici americani.

Un problema chiamato America

Niente di più facile che a Kiev si pensi alla fuga dall’Afghanistan come un monito per il Cremlino, un precedente che brucia e spiega come al potere in armi non corrisponda sempre una proporzionale risposta sul terreno.  Ma il parallelismo mancherebbe clamorosamente il dato di realtà. Perchè il problema vero per Zelensky non è la Russia, ma l’America. E non è inverosimile ritenere che, tra le tante valutazioni che dalle parti del Cremlino fecero da prologo all’entrata in armi nel territorio ucraino ci furono congetture sulla debolezza degli Usa nell’osservare i marines in rotta: 300.000 uomini, con armi ed equipaggiamenti moderni, si arrendono ad una realtà rurale ed ostinata.

Il 15 di agosto di due anni fa la bandiera dei Talebani oscillava sul palazzo presidenziale di Kabul. E la Casa Bianca aveva tirato la linea con indifferenza, quasi con sfacciataggine, guardando ai mille miliardi di dollari – ma alcuni contabili raddoppiano la cifra del disastro –  spesi in 20 anni per l’Afghanistan come un errore a cui porre fine nel più semplice e perentorio dei modi: andarsene.  E’ stato come giocare al rialzo con la Storia e un istante dopo fuggire dal tavolo dove si pensava di poter dare le carte. Ecco, se Zelensky decidesse di fare due più due, si accorgerebbe che Biden e il Congresso hanno gettato nel pantano ucraino 70 miliardi in poco più di un anno. La spesa per Kiev si candida a superare l’importo irreale, fiabesco delle ricchezze bruciate in Afghanistan. Ma se hai dilapidato un patrimonio per avere in cambio un nulla di pari misura la volta successiva potresti concederti un tempo molto più breve per decidere se restare al tavolo o andartene.

Da febbraio a novembre

Ed il tempo sembra segnato sul calendario: South Carolina, 3 febbraio 2024, data d’inizio delle Primarie Usa. Di lì in avanti nove mesi in cui la maglietta di Zelensky sarà tanto più d’impaccio quanto più l’Ucraina sarà rimasta nel pantano. E se Kiev  la mattina del 5 novembre 2024 – giorno delle Presidenziali americane – si ritroverà ancora nel fango avremo uno straccio in più con cui pulire il pavimento. Sperando di non doverlo pulire dal sangue. Uno straccio verde militare.

 Cosa succede tra America e Zelensky
Cosa sta succedendo tra Zelensky e Joe Biden in questo momento-Credit ANSA-L’intellettualedissidente.it

 

Perché un presidente che sembra sognato da Offenbach può anche permettersi il lusso di una controffensiva da operetta con l’esercito ucraino, che quasi prometteva di arrivare al Cremino, piantato al terreno come un cervo a cui hanno legato le zampe posteriori. Ma quando sul tavolo delle presidenziali americane si passerà dai sussurri a bordo ring al primo uppercut i soldi gettati nel pantano diventeranno una faccenda da prendere sul serio, ed ogni dollaro per Kiev sarà una pietra lanciata in uno stagno.

70 miliardi di dollari producono cerchi nell’acqua più della pioggia. E nel Paese da 10 milioni di chilometri quadrati, spanna più spanna meno, potrebbero non gradire di pagare il conto ad una nazione che avrebbe dovuto usare nei confronti della confinante Russia la stessa cautela che il Messico ha nei confronti degli Stati Uniti. Compito della geopolitica è tradurre in un lessico d’ambasciata la legge della giungla, né più né meno. Perché forse il Creatore ci fece ipocriti prima di farci uomini. Ma non è detto che se ne compiaccia. E ai commedianti che incespicano sui numeri potrebbe regalare un destino che era già nelle cifre, se avessero saputo leggerle.

C’è inoltre quel verde militare che l’attore si ostina ad indossare. Un outfit scarno che dalle parti del Congresso potrebbe ricordare Cuba e le cartoline dolorose dalla Baia dei Porci. Un altro pantano della storia americana, come Saigon e Kabul. E non è detto che a Washington gli uomini del Congresso vogliano correre il rischio di aggiungere Kiev all’elenco. L’affresco all’interno della cupola di Capital Hill parla di gloria. Ma sono 78 anni che gli Stati Uniti non vincono una guerra, se togliamo le zuffe da cortile di Grenada e Panama, dove lo zio Sam invase un territorio più piccolo del South Carolina ed ebbe vita facile, come un mediomassimo che lancia la sua sfida in una Nursery School. Il resto sono stati anni di attesa e disastri.

La Russia ha perso la guerra

Un mese dopo la decisione di entrare in territorio ucraino la Russia ha perso la guerra, ci avevano detto le anticipazioni dei libri di Storia divulgati dalla stampa occidentale. Era già scolpito sul marmo, ripetuto dalle maestre alle scuole serali, ricordato dal nuovo nome che sarebbe stato ai luoghi delle città Piazza della liberazione ucraina, Viale Zelensky. Mancava solo l’imprimatur della realtà. Ma la ratifica, due anni dopo, tarda a venire. Il timbro costerà qualche dollaro ancora a Biden e Congresso, sempre che Joseph Robinette Biden Jr in arte Joe non rimbalzi soffice tra le nuove delle sue gaffes per ritrovarsi con un plaid sulle ginocchia ad osservare da casa la cerimonia d’inserimento del 47° Presidente degli Stati Uniti.

Russia cosa succede Ucraina
In Russia è tutto finito?- Credit ANSA-L’intellettualedissidente.it

 

E se la Russia, dopo l’ultimo sigillo, dovrà adeguarsi ai libri di Storia e perdere la guerra, qualcosa ci dice che l’Ucraina vittoriosa avrà perso il Donbass e la Crimea e resterà fuori dalla NATO. Zelensky dovrà accontentarsi di osservare dalla finestra, sulla punta dei piedi, la festa a cui pensava di poter partecipare di diritto, perché in punta di piedi non è stato capace di far valere le proprie ragioni, come avrebbe dovuto. Essere carenti in altezza si paga, se le finestre sono alte. E si paga anche in politica, talvolta, se ci s’immischia in faccende più grandi di noi, credendo di avere in mano il copione e di scegliere il director’s cut.

I francesi si ritirano dall’Ucraina

E’ gelido e realistico pensare che Zelensky ha segnato l’uscita di scena quando ha dettato le condizioni per trattare. L’attore parla della Russia come se fossero truppe francesi in ritirata sulla Beresina mentre alle sue spalle la controffensiva ucraina dava la sensazione che i miliardi ricevuti in armi ed approvvigionamenti fossero finiti in una latrina. La Russia deve uscire dal territorio ucraino, dopo si parla, aveva detto Zelensky, e non potevi rimproverargli la mancanza di senso dell’umorismo. Ma qualcuno a leggere quelle condizioni deve aver visto il senso del ridicolo correre nudo e creare scompiglio nei luoghi dove la diplomazia d’alto lignaggio tenta di arginare il disastro, parlando il dialetto aspro della realtà. Se il giullare non fa ridere rischia la testa.

Un’ immagine dell’uomo di Kiev al vertice NATO di Vilnius a luglio lo ritraeva sconsolatamente da parte, con il solito panno verde a coprire un fisico di borghese pinguino, come se avesse sbagliato tempo e luogo. I potenti della Terra sembravano dargli la stessa importanza che si dà ad un gatto intravisto nel prato, vicino ai tavoli bianchi del buffet. Un ratto avrebbe suscitato più attenzione. Ma quell’immagine non significa nulla, dissero in Occidente gli autori di Storia moderna. E’ un attimo, nulla più. Se non è nulla, è un behind the scenes che sembra preannunciare qualcosa o almeno dirti, sottovoce, che è possibile.

Via tutti, ha deciso così

E forse lo pensa anche Zelensky quando rimuove la procuratrice generale del paese, Iryna Venediktova, dà il ben servito al capo dei servizi segreti, Ivan Bakanov, licenzia i funzionari incaricati del reclutamento, senza risparmiare nessuno, e lo fa sapere al mondo, Quando si reca in visita si soldati nelle  regione del Donetsk e lo fa sapere al mondo. Stesso destino per Igor Tantsyura, comandante delle Forze di difesa territoriale dell’Ucraina. E va nella stessa direzione la scelta di destituire il capo delle operazioni speciali, Viktor Khorenko. Vedi questi soldatini di latta, cadere uno ad uno sul tavolo del bambino che un giorno si svegliò ed era presidente dell’Ucraina. Li vedi cadere e  ripensi all’immagine di Vilnius, a quello scatto apparentemente insignificante del vertice NATO, dove Zelensky sembra un bambino che si attarda al party degli adulti

E’ ora della nanna, Zel

E anche tu fai due più due. E hai come la sensazione che presto verrà la tata, con uno strano accento yankee, e dirà al bambino che si è fatto tardi, è ora di andare a dormire. Lui saluta gli ospiti, i pochi che hanno ancora il garbo di accompagnarlo con uno sguardo. Si allontana e ti accorgi che somiglia spaventosamente a Felix the Cat, il fumetto, un personaggio immaginario creato da Otto Messmer all’inizio del secolo scorso. Era piccolo e nero, occhi e sopracciglia grandi, ed era ispirato ad un attore non meno famoso del nostro. Un certo Chaplin.

E così Zel, il nostro piccolo eroe lentamente prende sonno. Ed è tutt’uno con l’epos bellico che avvolge, come una nube di luce e gloria, la storia della controffensiva che costringe i russi arretrare fin dentro il Cremlino. Domani forse si risveglierà attore, l’attore che fu, e si accorgerà che è stato un sogno. C’è da augurarglielo. Perché l’alternativa è che presto si risvegli dentro un incubo, molto simile alla famosa vittoria dell’Ucraina.

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