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Quella volta che un genio finì in crisi di astinenza nel bagno di una stazione di servizio

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Paolo Zignani

La droga ha martoriato un musicista geniale, senza però riuscire a impedirgli di esprimersi con tutta la sua originalità.

La storia del jazz era andata in crisi nei servizi igienici di un distributore di benzina. Chet Baker non ce la faceva ad andare avanti senza droga. Era il 31 luglio 1960. Stava cercando un posto in cui farsi un’endovena di nascosto. Era in astinenza e non aveva trovato di meglio, viaggiando con la sua Alfa Romeo, che il bagno di una stazione di servizio Shell a San Concordio, in provincia di Lucca. Sembrava un angelo, era biondo e parlava male italiano. Ripeteva “Toilette… Toilette” battendo i piedi per farsi capire. C’era solo lui oltre al benzinaio e a suo figlio, che gli ha dato la chiave.

A quei tempi c’era scarsa tolleranza per la droga negli Stati Uniti. Era venuto in Europa nella speranza di trovare un habitat più agevole. Un trombettista e un cantante come lui trovava sempre dei contratti. E così aveva suonato a Parigi, Roma, Milano, e poi Lucca in tutta la Versilia piena di turisti. L’aveva scritturato la Bussola, che allora faceva furore.

Infinite peripezie a causa della droga

Poteva essere una vita molto più comoda la sua, ma la droga lo distruggeva. Non era facile procurarsene in Italia. Infatti di tanto in tanto doveva volare a Monaco o in Svizzera, per fare rifornimento. Portava con una valigia piena di analgesici che potevano essere usati per qualche tempo al posto dell’eroina, il Palfium 875 o lo Jetrium. Era talmente schiavo degli stupefacenti, che arrivava a farsi 40 iniezioni al giorno.

Quella volta che un genio finì in crisi di astinenza nel bagno di una stazione di servizio
Chet Baker nel 1953 – lintellettualedissidente.it credit amsterdam.nl

Un inferno, per lui e chi gli stava vicino, come la moglie Halema Alli e la sua nuova amante, la ballerina Carol Jackson. Tutte e due esposte e coinvolte nel suo giro di droga. Lo si vede anche in un film dell’epoca «Urlatori alla sbarra» di Lucio Fulci. Con la sua faccia d’angelo, la sua voce soave e la sua tromba. Per metterlo davanti a una cinepresa, Fulci aveva dovuto rifornirlo di oppio e morfina.

Ha dato al jazz una direzione nuova

Eppure senza di lui, il cool jazz, cioè il jazz lirico e intimista, avrebbe stentato ben di più ad affermarsi. Nel dopoguerra, sulla costa occidentale degli Stati Uniti, Gerry Mulligan, il grande arrangiatore, musicista e organizzatore, era riuscito a creare il nuovo genere. E Chet Baker era un punto di forza imprescindibile. Conosceva poco e male la teoria della musica.

A stento leggeva una melodia, salvo poi imparare con la pratica. Seguiva il suo senso artistico, fino al punto di introdurre nel jazz una pratica colta e raffinata come il contrappunto. Come se avesse studiato Bach o Beethoven. Nei primi anni cinquanta, riesce a entrare nel quartetto di Gerry Mulligan, un’autentica innovazione. Senza pianoforte, suonano il sax baritono, la tromba, basso e batteria.

Faceva il contrappunto al sax con la tromba

Esordiscono sonorità inesplorate e si scoprono esperienze acustiche nuove, destinate a diventare classiche. I dialoghi tra la sua tromba e il sax baritono di Mulligon fanno la storia. L’espressività che Chet Baker riesce a trarre dal suo strumento e con la voce non s’era mai sentita. Diventa il musicista più famoso del pur grande quartetto.

Spuntano dissensi e liti con Mulligan, che a sua volta ha problemi di droga e finisce anche in carcere. Baker comunque miete successi. Secondo un sondaggio di una rivista del settore, Down Beat, il miglior strumentista del 1954 è lui, davanti persino a Miles Davis e Dizzy Gillespie. “My Funny Valentine” dimostra quanto abbia saputo evolversi il jazz. La carriera di Baker è in continua ascesa, con un unico ostacolo: la droga. Viene espulso dalla Germania Ovest e dall’Inghilterra. In Italia rimane, ma deve affrontare infiniti guai.

Musica intima e dolcissima, incantava chiunque

Dal bagno di quel distributore di benzina, nel luglio 1960, dopo un’ora non usciva ancora. Il proprietario chiama la polizia di Lucca e un agente sfonda la porta. Il musicista è a terra, accasciato sul pavimento. Non era riuscito a trovare una vena buona e si era soltanto fatto del male, in astinenza e dolorante. Lo arrestano, lo rilasciano, lo fermano ancora e alla fine, dopo mille peripezie e un processo, lo mettono in prigione per un anno, a Lucca.

Il figlio del direttore del carcere è un patito del jazz e gli fa avere un permesso per suonare la tromba due ore al giorno, in cella. I detenuti lo adoravano. Non si sarebbero mai aspettati della musica di paradiso stando in prigione. Chet Baker è sempre più famoso. In Italia suona con i migliori jazzisti, si esibisce al Capolinea di Milano, incide, incanta, ma si spegne sempre più, eroso dalla sua nemica, la droga. Deve rifugiarsi in Olanda dove le leggi sono più permissive. E muore cadendo da una finestra di un albergo, il 13 maggio 1988, a 59 anni.

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