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Giambruno, la disfatta di un timido

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Armando Del Bello

Andrea Giambruno, fingersi quello che non si è può portare all’irreparabile. Forse è solo un timido che aveva pudore di esserlo.

Andrea, non ti curar di lor ma guarda e passa verrebbe da dire a Giambruno, ora che la sua fortuna è passata. Perché di questo si tratta. Con pochi sapienti colpi da maestro, Andrea è passato dall’essere un giornalista di sicuro avvenire a un ex con un grande avvenire dietro le spalle per ricordare la memorabile espressione che faceva da titolo ad un’autobiografia di Vittorio Gassmann. E chissà cosa potrebbe scrivere Andrea fra venti o trent’anni, nel ricordare questo non meno memorabile passaggio a vuoto, che nel vuoto l’ha fatto precipitare.

Giambruno cosa succede
Giambruno, la disfatta di un timido-Credit ANSA-L’intellettualedissidente.it

Da premier monsieur e padre single con figlia bionda al fianco, unico lascito durevole e prezioso di una faccenda che dovrà essere catalogata nello scaffale dei disastri. Difficile da decifrare per sé stessi e non meno da tradurre in parole comprensibili agli altri quando vorrà spiegarla. Perché nella storia si staglia imponente l’ombra dell’idiozia, la propria. E questa è sempre difficile da tradurre in formule adatte a mendicare una qualche empatia, anche solo di maniera.  Perché la comprensione, in questi casi, teme il contagio della stupidità, qualcosa che vorremmo debellata quando consideriamo noi stessi, e non intendiamo certo rimetterla in gioco nell’offrire ad altri, per una volta meno accorti delle nostre stimabili persone, la spalla su cui piangere. Andrea ormai è andato, certo, nel lazzaretto medievale dell’ignominia, bollato a fuoco come un vitello stolto. E tuttavia se ne sta così inguaiato, e imperdonabile, che a farsi largo è il desiderio istintivo di difenderlo.

Andrea, come difenderlo

Fosse anche con un argomento che vale poco meno di un tozzo di pane, al punto in cui siamo. In fin dei conti a fregarlo sono stati, in origine, due stati d’animo, da cui è scaturito tutto il disastro: non amare la propria compagna, almeno non di un amore adulto e consapevole sufficiente per comprendere chi è lei e il suo ruolo, con il conseguente desiderio di proteggerla, e l’essere consapevole della propria fortuna – una fortuna al di là dei propri meriti. E se il primo aspetto è stata la polvere, un’esuberanza, intima e folle, per una vita in ascesa ha dato miccia corta al disastro. Ma prima di questo caos c’è altro, forse.

Giambruno cosa succederà adesso
Andrea Giambruno e la sua timidezza?-Credit ANSA-L’intellettualedissidente.it

Una personalità leggera e timida allo stesso tempo, un’insicurezza mai domata e forse, nei momenti migliori perfino adorabile, che l’ha portato ad andare fuori le righe fingendo una disinvoltura innaturale – che è ad Andrea sarà sembrata, ad un tratto, la giusta, appagante narrazione di sé e della propria euforia.

La timidezza mai passata

Se ne ricava l’impressione, con qualche buona carta per diventare certezza, che Andrea il timido non sia affatto il d’Artagnan irrequieto ed insinuante che è voluto apparire.  A sua discolpa proprio le avances e le allusioni di cui non poteva fare a meno – tanto goffe quanto più volevano essere prova di cinismo e consumata maestria. È sembrato un timido fuori controllo, Andrea, benché amasse immaginarsi altro da ciò che era. Un disagio di fondo sembrava essere rimasto, mostrato dalla falsa naturalezza con cui tentava di sbarazzarsene. Ma solo nella sua immaginazione quell’impudicizia da ex liceale sfigato, da commilitone d’altri tempi è sembrata esistere, si dovrebbe concludere. Perché un predatore vero, un Valmont degno di questo nome, parla poco o niente, in pubblico. Dice quel che basta, nel posto e al momento giusto. Non si pavoneggia, perché il suo scopo è concreto e mirato. Una alla volta, dopo. Ma il timido narciso voleva lo sguardo di tutte, e subito. Ha puntato al rialzo sul tavolo sbagliato. Ha giocato con le fiches della propria fortuna e con l’insolenza di un Delon di provincia, il bell’Andrea. Si è ritrovato a fare i conti con la pesante eredità di una leggerezza imperdonabile, sul treno di ritorno, in compagnia del conte Pier Carlo Semenzara.

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