Come molte abitudini apparentemente rilassanti, parlare sempre di se stessi ha un costo per la nostra vita sociale e il benessere generale (Lintellettualedissidente.it)
Parlare troppo di noi stessi danneggia la nostra felicità e può essere la spia di problemi più profondi. Ecco perché.
Avete mai pensato di scrivere un’autobiografia? Molte persone (non famose) lo stanno facendo: i libri di memorie stanno prendendo piede, più che in passato. A quanto pare, ci sentiamo più a nostro agio nel condividere dettagli intimi della nostra vita personale con estranei. Ma c’è da tener presente un elemento importante: ciò che pensiamo sia avvincente della nostra vita, potrebbe non sembrare così agli altri. Anzi, potrebbe finire per annoiarli. A dirla tutta, in molti casi sarebbe meglio parlare meno di noi stessi in generale.
Ci piace parlare di noi perché, molto semplicemente, è una bella sensazione. Ma come molte abitudini apparentemente rilassanti, ha un costo per la nostra vita sociale e il benessere generale. Con qualche sforzo, tuttavia, questo “vizio” può essere facilmente corretto, scrive Arthur Brooks, editorialista di The Atlantic e autore del podcast “How to Build a Happy Life” (“Come costruire una vita felice”).
Circa il 30-40 per cento dei nostri discorsi è autoreferenziale, secondo una piccola indagine condotta su studenti universitari. Per quanto riguarda l’uso dei social media, i risultati di un’analisi dei post su una piattaforma suggeriscono che circa l’80% di noi pubblica contenuti su se stesso. A parte i video di gatti e le lamentele sulle compagnie aeree, i social media sono fondamentalmente microblog autobiografici.
Perché parliamo e scriviamo così tanto di noi stessi? Perché ha un payoff immediato. In una ricerca condotta ad Harvard e pubblicata nel 2012, i neuroscienziati hanno dimostrato che quando le persone impartiscono informazioni su se stesse agli altri, si sentono appagate come quando fanno sesso, giocano d’azzardo e consumano alcolici. Non sorprende, quindi, che molti di noi mostrano i sintomi di una dipendenza da comportamenti autoreferenziali.
Il sociologo Charles Derber ha parlato di “narcisismo conversazionale”, intendendo con ciò l’abitudine di portare di riflesso ogni dialogo intorno alla nostra vita e alle nostre esperienze. A volte il meccanismo assume una forma indiretta, ad esempio parlare compulsivamente del proprio lavoro. Come in altre forme di dipendenza, tuttavia, parlare costantemente di se stessi può segnalare la presenza di un disturbo dell’umore sottostante, come la depressione.
Diversi studi dimostrano che i soggetti che soffrono di tale patologia trascorrono più tempo a pensare a se stessi rispetto ai non depressi e hanno difficoltà a spostare la loro attenzione su altre persone e cose. Come accade comunemente con questo disturbo, si tratta di una tendenza controproducente. Gli individui depressi hanno bisogno di amore e sostegno e reagiscono positivamente all’esperienza di un senso di appartenenza.
Tuttavia il narcisismo conversazionale, in particolare il lamentarsi, allontana le persone, il che – come in un circolo vizioso – può peggiorare il disturbo dell’umore. Quindi, se hai l’abitudine di parlare sempre di te stesso, faresti bene a lavorarci su: non solo per il sollievo della tua famiglia e dei tuoi amici, ma anche per la tua salute mentale.
Ecco due suggerimenti per iniziare. Il primo è praticare la meditazione e l’esercizio fisico per deviare il flusso dei pensieri. Mentre il secondo consiste nel riformulare il modo di parlare, passando dall'”io/me” al “noi/ci”. Sono cambiamenti sottili, ma ci faranno sentire mentalmente connessi ad altre persone, spostando l’attenzione su di loro e sulla loro esperienza, invece di orientarla sempre su noi stessi. Provare per credere!
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