Un giro di valzer tra le esplosioni, a questo assomiglia l’ennesima mossa per la pace in Ucraina, con Volodymyr Zelensky che vola da Donald Trump per una tregua almeno, se non una pace mentre a Kiev 2.600 edifici e centinaia di asili e scuole sono senza riscaldamento. Nella regione almeno 320.000 persone sono rimaste senza energia elettrica, dicono dall’Ucraina.
Il Paese è al gelo ma il gelo arriva anche dalle parole di Trump a cui non sono piaciute le parole di Zelensky “L’accordo è fatto al 90 per cento” e replica “Lui non ha nulla fino a quando l’approvo io“. Una dura legge in un mondo senza legge che l’uomo di Kiev tende a dimenticare, ogni tanto, nonostante quello che accadde nello Studio Ovale a febbraio.

Una scena da incubo con il presidente ucraino che sembrava una iena ferita, non priva di fierezza, gettata malamente in pasto alle feroce ragioni della realpolitik. E il Trump di oggi non sembra diverso da quello di ieri “Vedremo quello che ha” ha detto, senza dimenticarsi di aggiungere. “Credo che andrà bene con Putin” come a sottolineare quello che Kiev ed Europa dimenticano: sono loro due a decidere.
Tutto il resto è un castello di carte in un luogo pieno di vento. E constatando tanta immanente fragilità viene da rammaricarsi all’idea che un’altra cifra spaventosa è stata promessa a Kiev: miliardi e miliardi gettati nel caos di una guerra senza tregua, quando sarebbero potute essere usate, quelle risorse, per ricostruire un Paese dal nulla, un nulla dove rischia di scomparire.

Nella residenza di Trump ci sanno le solite questioni cruciali sul tavolo: territori e sicurezza, con Kiev che non vuole cedere sul Donetsk e chiede garanzie sul futuro, dimenticando che il conflitto nasce da garanzie chieste dal Cremlino e non avute. Il realtà nessuno può garantire nulla, in quella parte di mondo. Vince il più forte che è spesso il peggiore. E presto l’uomo di Kiev dovrà dismettere gli abiti del migliore, e capire che è solo il più debole: a Washington, a Mara a Lago e, c’è da scommetterci, anche a Kiev.
