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Dal PCI al PD, storia che va dalla falce e martello fino al tricolore

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Vincenzo Colao

Il PD, ovvero il Partito Democratico, uno dei partiti italiani con la storia più longeva, si distingue anche per una storia fatta di continui colpi di scena tanto da poterla definire “affascinante”. Si parla di una sorta di sviluppo che parte dal PCI al PD, storia che va dalla falce e martello fino al tricolore. Le persone farebbero bene a conoscerlo perché è un pezzo molto importante della storia del nostro paese.

Le radici e la genesi del partito democratico

Quando si inizia a parlare del passaggio dal PCI al PD

La data di fondazione del Partito Democratico risale al 2007 ma è naturale sottolineare il fatto che affondi le sue radici ben prima. Bisognerebbe partire da una data decisamente antecedente, ovvero il 1921.

In quell’anno nacque il Partito Comunista Italiani, anche sintetizzato dalla sigla PCI. Esso venne costituito a Livorno dove ancora oggi ha un forte supporto.

Il primo della lista fu Amedeo Bordiga ma il primo segretario nonché fondatore fu Antonio Gramsci.

Nella sua ottica, il PCI doveva essere il più grande partito Comunista d’Occidente.

Le vicissitudini del partito non possono che seguire la narrativa dell’Italia che affronta la seconda guerra mondiale e ancora prima si vede limitato dall’operato strabordante dal fascismo.

Il regime fascista non esita a mettere in carcere Gramsci e a quel punto le sorti del Partito Comunista Italiano vengono affidate a Palmiro Togliatti.

Da questo punto in poi Togliatti rimane al timone senza venire messo in discussione e solo il giorno della sua morte, avvenuta a metà degli anni ’60 porta il partito a scegliere Luigi Longo.

Ma dopo pochissimo tempo si virò su  Enrico Berlinguer. Egli fu il segretario che, si potrebbe dire, portò il partito al suo massimo storico.

Insomma, inizialmente c’è stata una lunga stabilità dirigenziale ma sembra che una sorta di destabilizzazione fosse sempre la causa del cambiamento ai vertici del partito.

Tutto accade anche per la morte di Berlinguer, una morte avvenuta proprio, incredibilmente, sul lavoro.

Quando ci fu la svolta nello storia del partito?

Enrico Berlinguer stava presenziando ad un comizio molto importante, per le elezioni europee e fu proprio in quella circostanza che perse la vita a causa di circostanze naturali, per meglio specificare, un ictus.

A questo punto, dopo tanti eminenti segretari, le redini passano per un tempo relativamente breve ad Alessandro Natta. Nel suo caso la fine del suo mandato è del tutto arbitraria perché fu proprio lui, che si poteva considerare un berlingueriano della prima ora, particolarmente convinto, a dimettersi, precisamente nell’anno 1988. Il motivo è da imputare a problemi di salute riconducibili a un infarto.

Fu in questo preciso momento che si poté parlare di una palese crisi di partito.

Dopo Natta, arrivò Achille Occhetto e, a questo punto, possiamo realmente parlare di un vero e proprio, tangibile, cambiamento del Partito Comunista Italiano. Occhetto desiderava guidare il partito su strade inedite per dargli una sorta di nuova vita.

Fino a che avvenne, proprio nel 1989, la Svolta della Bolognina. Chiamata così perché, al termine di questo particolare processo politico, fu proprio alla Bolognina (a Bologna) che venne dato l’annuncio dello scioglimento del PCI. Ci si chiedeva se a quel punto se si era pronti al passaggio dal PCI al PD.

Il cambiamento del nome del partito

 Come si arriva dal PCI al PD

È chiaro che tante delle vicende che vedevano sorgere delle problematiche così come dei tumulti interni al partito erano direttamente influenzate dalla politica sovietica dell’epoca.

Ad un tratto è come se sorgesse l’improvvisa consapevolezza che il Partito Comunista era diventato troppo anacronistico.

A capo del dibattito che verteva sulla necessità di cambiamenti, a partire dal nome del partito, ci fu colui che rappresentava l’area socialista, ovvero Giorgio Napolitano. Egli sembrava non apprezzare la dicitura “Partito Democratico” ma avrebbe desiderato un nome più originale o quantomeno più incisivo per il nuovo partito.

Oltretutto, sulla base del pensiero dell’elettorato, per quanto si potesse già ipotizzare un cambio di nome, non si poteva dire lo stesso rispetto all’elemento simbolico del partito, la classica falce e martello.

Questo famoso simbolo, che vede falce e martello che sono incrociati a partire dai manici, viene comunque modificato nel 1926 andando a spostare il martello al centro della lama della falce.

Dietro al simbolo di falce e martello si può vedere un sole che sta sorgendo e che funziona molto bene come simbolo socialista, ed una corona di spighe di grano che simboleggia il lavoro.

Nel 1951 poi c’è da registrare il fatto che la bandiera rettangolare diventa una bandiera su base quadrata. Questo provoca un consequenziale ridimensionamento dei singoli così che possano entrare nelle dimensioni concesse.

Comunque, fino al Congresso Straordinario del Partito, tenutosi a Bologna precisamente nel 1990, dove venne rieletto Occhetto, non ci furono cambi sostanziali.

Il Partito Comunista desiderava essere l’unico reale riformatore di se stesso e rifiutava l’idea che una decisione così importante dovesse essere presa sulla base di influenze esterne.

Inoltre aleggia nell’aria anche l’ipotesi di andare ad unire, finalmente, i socialisti con i comunisti per tornare ad essere una grande potenza da contrapporre al partito dominante.

Conclusione della vicenda relativa alla transizione dal PCI al PD

Ricongiungere socialisti e comunisti avrebbe significato fare finalmente potere all’opposizione.

Questa unione era tutto tranne che certa visto che i socialisti erano ideologicamente più vicini alla Democrazia Cristiana e non propriamente allineati all’ideologia Comunista.

Arriva il 1991, anno in cui, finalmente, è possibile annunciare lo scioglimento del Partito Comunista Italiano. Quel 3 febbraio si configurano, dallo scioglimento, il PDS (Partito Democratico della Sinistra) e Rifondazione Comunista. Il PDS utilizzava come simbolo una Quercia.

Questo non bastò comunque, perché lo schieramento politico non risultò convincente agli occhi dell’elettorato. Quest’ultimo abbandonò la classe dirigente di sinistra all’urna tanto da indurre Occhetto a dimettersi nel 1994.

A questo punto possiamo parlare dell’uomo che traghettò il PDS al partito dei Democratici di Sinistra: Massimo D’Alema. In questo caso, il simbolo scelto fu la rosa dei socialisti europei.

Possiamo annoverare tra i segretari successivi, Veltroni e poi Fassino. È opportuno dire che da qui in poi la situazione continua a sembrare instabile anzi, dati alla mano, è possibile definirla “sempre più indefinita”.

I segretari del Partito democratico, quello che ancora oggi è il PD, in 15 anni si sono avvicendati 10 leader differenti. Ovviamente non è assolutamente possibile mettere in secondo piano un dato di realtà così importante.

Pare giusto fare un elenco di questi leader, giusto per non lasciarli nel dimenticatoio nonostante alcuni hanno avuto una durata decisamente breve: Veltroni, Franceschini, Bersani, Epifani, Renzi, Orfini, Renzi Bis, Martina, Zingaretti, Letta.

Visto che le modifiche di nome e di segretario vengono sempre affiancate dalla modifica del simbolo, bisogna ricordare che quello del Partito Democratico è costituito semplicemente dalle iniziali del partito. Esse vengono sormontate da un ramoscello di ulivo.

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