La sindrome di Stoccolma deve il suo nome per un avvenimento accaduto agli inizi degli anni ’70 a Stoccolma con un famoso psichiatra.
Chi arriva a soffrire di questa sindrome inizierà a provare dei sentimenti positivi verso il suo carnefice, instaurando un rapporto di sottomissione volontaria, nonché di solidarietà. In questo modo la vittima proverà non solo comprensione, ma anche sentimenti di amore e affetto verso l’aggressore.
Scopriamo dunque, in questo articolo, cos’è nello specifico la sindrome di Stoccolma e in quali casi colpisce le vittime.
Il nome di tale patologia risale ad un avvenimento realmente accaduto agli inizi degli anni ’70 a Stoccolma, durante una rapina presso la Sveriges Kreditbanken di Stoccolma. Quel giorno due evasi di galera presero in ostaggio quattro persone e si rinchiusero nei sotterranei della banca. Contrariamente a quanto si possa pensare, avvenne che gli ostaggi instaurarono un forte legame con i sequestratori, tanto da temere più l’arrivo della polizia che la reclusione e a difendere i soggetti anche durante i vari processi.
Il termine fu coniato a seguito di quell’occasione dal criminologo e psicologo Nils Bejerot, che aiutò la polizia con la negoziazione durante la rapina. Bejerot nei giorni successivi avviò alcune sedute con le vittime e rimase molto impressionato dalle dinamiche dei fatti raccontati: gli ostaggi sembravano provare un sentimento fortemente positivo verso i rapinatori, identificandoli come coloro che avevano ridato un senso alla loro vita, sentendosi in debito nei loro confronti per quanto ricevuto.
La sindrome di Stoccolma è un meccanismo secondo cui colui che si ritrova a essere vittima di un determinato episodio, invece che aver paura del suo detentore, instaura un rapporto di solidarietà. Secondo lo psichiatra pioniere nella scienza dei traumi Frank Ocheberg, quando un ostaggio pensa che morirà a breve, inizia a vivere un processo di infantilizzazione, ovvero, come un bambino, dovrà chiedere il permesso per qualsiasi azione voglia intraprendere.
Di conseguenza, qualsiasi concessione venga lui fatta dai rapitori, susciterà in lui un grande senso di gratitudine, fino al punto in cui negherà anche a se stesso la verità, credendo che la sua vita sia nelle mani del rapitore.
L’espressione divenne famosa poi nel 1974, quando l’ereditiera 19enne Patty Hearst fu rapita da un gruppo di combattenti estremisti: due mesi dopo il rapimento, Patty annunciò su un’audiocassetta di essersi unita allo SLA e di aver preso il nome di “Tania”. Patty Hearts fu persino coinvolta in una rapina a mano armata, il primo di una serie di crimini effettuati per conto dell’associazione che l’aveva rapita. Quando venne arrestata dall’FBI fu condannata a 35 anni di prigione, poi ridotti a sette.
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