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Economia

L’economia argentina, tra crisi e risalite

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Uno dei punti più bassi che ha toccato l’economia Argentina è senza dubbio quello che si verifica alla fine degli anni 90’, con la forte diminuzione del PIL. Una crisi figlia soprattutto della cattiva politica precedente, che arreca danni importanti alla casse dello Stato, almeno fino al 2003.

C’è da dire, comunque, che gran parte della storia dell’Argentina è caratterizzata dalle forti oscillazioni economiche legate alle continue dittature militari e dai fragili governi democratici.

Nella sua storia la popolazione non vive mai periodi floridi e spesso deve abituarsi alle continue oscillazioni della propria moneta.

Perché l’Argentina è sempre in crisi?

Appassionati di economia e non, si sono domandati almeno una volta del perché l’Argentina è sempre in crisi. Beh, per poter rispondere a questa domanda occorre spiegare com’è iniziata la crisi. Ultima in ordine di tempo, almeno nel momento in cui si scrive.
Facendo anche un piccolo passo indietro, così da poter avere un quadro generale della situazione economica e il suo sviluppo nel corso del tempo.

A partire dalla metà degli anni 70’, durante la dittatura civile-militare, il Paese accumula un enorme debito pubblico. A causa di finanziamenti per numerosi progetti mai terminati. Come ad esempio la guerra delle Falkland.

Una catastrofe economica che inevitabilmente coinvolge le imprese ed a sua volta il precariato.

L’economia argentina con il ritorno della democrazia

Nel 1983 il ritorno alla democrazia con la vittoria alle elezioni del presidente Raúl Alfonsín. Nella sua politica di risanamento delle case statali troviamo la creazione dell’austral, una nuova moneta.

Ma con la nascita di quest’ultima, l’Argentina continua a generare prestiti e quindi debiti. Una situazione che vede crollare l’austral e la sua fiducia. Nel 1989 l’inflazione argentina raggiunge addirittura il tasso mensile del 200%.
Nel 1999 la disoccupazione è critica, così come gli effetti negativi del tasso di cambio fisso. Il PIL diminuisce del 4% e il Paese entra in recessione.

Nel 2001 arriva anche il colpo mortale: la nazione perde totalmente la fiducia degli investitori e la fuga di capitali si incrementa notevolmente. Le persone temono il peggio e inizia la corsa agli ATM per ritirare il proprio denaro. Tant’è che il governo congela i conti correnti per un anno, consentendo alle persone di prelevare solo delle piccole somme.

Questa operazione scatena delle rivolte popolari abbastanza irruente, anche contro la polizia. L’anno successivo viene abbandonata la ‘Ley de la convertibilidad’, così da rendere meno costose le esportazioni argentine.

La crisi argentina negli anni 2000

Dopo il 2002 il governo converte i depositi denominati in dollari americani in pesos, lanciando al vento, di fatto, i risparmi della classe media argentina. Questo comporta la perdita di oltre 1/3 del valore nominale dei depositi privati ed il Pesos perde 3/4 del proprio valore iniziale.

La percentuale dei poveri schizza alle stelle e le conseguenze arrivano anche nel nostro Paese, dove circa mezzo milione di investitori italiani si ritrova tra le mani dei Bond argentini ormai senza valore.

Solamente nel 2003 l’Argentina torna a ‘crescere’ grazie alle esportazioni economiche e al costo conveniente della soia, rispetto all’estero. Come ti sarai potuto rendere conto, queste crisi economiche argentine sono state così gravi da rendere complicata la politica monetaria dei decenni successivi.

L’economia argentina in epoca Covid-19

La pandemia degli ultimi anni è l’ennesimo pugno in faccia per l’economia argentina. Infatti, il PIL nel 2020 cala del 9,9% (il crollo più alto dal 2002).

Ma per l’anno in corso si prevede un piccolo miglioramento della situazione fiscale.

Questo è dovuto soprattutto all’aumento dei prezzi internazionali relativo alle materie prime e da una tassa sulle grandi fortune che consente di aumentare la riscossione. Oltre all’allentamento delle misure anti Covid.

Il tasso di crescita dovrebbe raggiungere il 2.3% nel 2023, consentendo agli argentini di rifiatare un po’.

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