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Vacanze romane: tredici giorni di carcere, per errore

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Lo scambio di persona da sempre apre la porta a situazioni irresistibilmente comiche che nell’era di internet si trasformano in un dramma.

In un lontano passato Gergo Hetey, cittadino ungherese di 40 anni, di professione dirigente d’azienda, avrebbe potuto risolvere l’equivoco senza molte difficoltà. Né sarebbe finito in carcere a Rebibbia per ben 13 giorni. Nel Novecento dimostrare di essere se stessi era più semplice. Ai tempi dell’identità digitale insorgono invece complicazioni imprevedibili. Infatti qualcuno una decina di anni fa ha aperto delle imprese, in Italia, usando le sue generalità e ora un carcerato asserisce di non averne saputo nulla. Anzi segnala di aver subito un furto d’identità.

L’ingresso nel carcere di Rebibbia – lintellettualedissidente.it Ansafoto

Per essere rigorosi, l’identità è realmente unica e insostituibile: nessuno la può veramente portar via. I criteri per il riconoscimento di una persona invece possono essere elusi, tant’è vero che negli ultimi anni la criminalità si è evoluta, sino a mettere continuamente in crisi la cybersicurezza. Dunque il turista magiaro, arrivato a Roma ai primi di agosto per una vacanza di relax che doveva precedere le nozze, ha avuto una sorpresa incredibile. Si trovava con la fidanzata nella sua camera dell’hotel Regina Margherita, nel quartiere Nomentano, quando la polizia ha bussato alla porta e l’ha arrestato.

In prigione a causa di uno scambio di persona

Per lui c’era un mandato di cattura, conseguenza di una condanna a un anno di prigione datata 2014. In Lombardia un’impresa edile di cui risultava titolare è fallita evitando di pagare i contributi ai dipendenti, che hanno ottenuto la condanna del titolare. Nove anni dopo, il signor Hetey sostiene di non averne mai saputo nulla. Una situazione kafkiana, perché l’uomo, una volta dietro le sbarre, ha perso la possibilità di comunicare. Per la magistratura la condanna era definitiva, per la polizia c’era un mandato da eseguire colpevole. Il detenuto ha potuto parlare solo con il suo avvocato, Massimiliano Scaringella, che ha riferito l’accaduto al consolato ungherese.

Il Palazzo di Giustizia di Milano – lintellettualedissidente.it Ansafoto

Il console Csilla Papp ha iniziato a informarsi sulla vicenda, senza però ricevere chiarimenti né dalla polizia né dal carcere di Rebibbia. La corte d’appello di Milano ha rimesso in libertà il malcapitato turista, perché era stato processato senza saperne nulla. Della scarcerazione nessuno ha saputo nulla, nemmeno il legale. La legge sulla privacy ha impedito a tutte le autorità coinvolte di dar notizia della liberazione. Soltanto un cappellano ha compiuto il gesto di informare l’avvocato dell’avvenuta scarcerazione.

Intrappolato dalla privacy e dalla burocrazia

Una situazione molto inquietante, perché le rigide regole della privacy e della giustizia hanno dimostrato tutta la loro pericolosità. Chi subisce un furto d’identità rischia di passare molto tempo in carcere senza potersi difendere. Ora l’avvocato si prepara a una battaglia tanto particolare quanto preziosa: ottenere la piena assoluzione del suo assistito, dimostrando che è stato vittima di un raggiro.

Per sua fortuna, Gergo Hetey ha potuto contare sul fatto di non esser mai stato in Italia prima del 3 agosto di quest’anno. Inoltre, proprio nel 2014 aveva denunciato il furto dei suoi documenti. Il colpevole era stato trovato: portava proprio lo stesso nome e cognome ed era stato condannato. Il precedente ha salvato il dirigente d’azienda dal carcere, pur dopo l’ingiusta detenzione, che sarebbe potuta continuare per un anno.

Le peripezie di chi è costretto a dimostrarsi innocente

La vicissitudine del cittadino ungherese ha degli aspetti paradossali, eppure nella sostanza è tutt’altro che rara. Il classico furto d’identità è sempre stato diffuso, anche in situazioni che non hanno recato né danni né vantaggi a chicchessia. Ci sono contesti innocui in cui c’è chi si fa passare per un personaggio storico. Ben diverso è il caso di chi partecipa a un concorso pubblico con le generalità di tutt’altro candidato. Ci si può presentare con un falso nome o come parente di un deputato o un ministro per ottenere un piccolo vantaggio, come in un film comico.

Internet ha aperto nuovi orizzonti, dato che si può aprire profilo nuovo su un social senza esibire alcun documento. E così dietro la foto di un modello può nascondersi ben altra persona. Il furto d’identità digitale è più facile del tradizionale scambio di persona, con il favore della prossimità fra l’anonimato e la privacy, ma può evolversi attraverso la frode informatica. E quando si tratta di clonazione di carte di credito o di documenti, la truffa è molto pericolosa.

Il rovescio della medaglia è la difficoltà di fare una firma autentica, o anche il moltiplicarsi dei casi di omonimia, che nel secolo scorso passavano inosservati. L’evidenza ha perso molto terreno, come sa bene chi deve acquistare un software per poter firmare digitalmente un documento. Un tempo, il timbro di un pubblico ufficiale su uno scarabocchio fatto in sua presenza aveva un valore. Ai giorni nostri, il signor Hetey deve vincere un altro processo per dimostrare di non essere il suo doppio e ottenere la completa assoluzione. E tornare eventualmente in Italia senza alcun timore.

 

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