In conferenza stampa Pietro e Natalina Orlandi con l'avvocato Laura Sgrò - lintellettualedissidente.it Ansafoto
Un intrigo mondiale di decenni con piste terroristiche, mafiose, intrecci con lo Ior e alti prelati. Alla fine è colpa dello zio?
Per la soluzione del caso Emanuela Orlandi, la cittadina vaticana scomparsa il 22 giugno ’83, stanno collaborando due Procure. Le toghe vaticane sono guidate da Alessandro Diddi, quelle romane da Francesco Lo Voi. In più, in Parlamento si sta discutendo dell’opportunità di aprire una commissione d’inchiesta, che avrebbe un ulteriore potere giudiziario.
I magistrati romani, dettaglio importante, sono capeggiati da Stefano Luciani, l’esperto pm che del caso Orlandi si è occupato facendo riferimento alle dichiarazioni di Giancarlo Capaldo. E’ l’ex procuratore aggiunto che, quando si occupava dell’inchiesta, aveva affermato pubblicamente che due alti funzionari del Vaticano gli avevano fatto sapere che si sarebbero impegnati per ritrovare il cadavere. La Santa Sede ha sempre smentito.
Così, collaborando, i magistrati vaticani hanno inviato alcune carte alla Procura di Roma. Dalle quali risulta però tutt’altra ipotesi, sulla quale oltretevere si indagava nel settembre ’83. E’ una pista che porta a Mario Meneghuzzi, il defunto zio che nella prima fase parlava al telefono con i presunti sequestratori.
Si tratta di uno scambio epistolare avvenuto per posta diplomatica tra il segretario di Stato del Vaticano, Agostino Casaroli, e un sacerdote che si trovava in Colombia, mandato da Karol Wojtyla, e che era stato a lungo confessore degli Orlandi. Casaroli chiede conferma di un fatto di cui era stato messo al corrente da una fonte che faceva parte degli ambienti investigativi romani.
Si parla delle molestie dello zio Mario Meneguzzi su Natalina, la sorella maggiore di Emanuela. Lo zio era il marito di Lucia Orlandi, sorella di Ercole, padre di Emanuela. Ebbene, il confessore confermava l’indiscrezione: Natalina gli aveva rivelato di essere stata molestata da suo zio Mario. Il quale aveva potere di ricatto sulla nipote, perché gestiva il bar della Camera dei Deputati. E lì l’aveva fatta assumere.
Insomma nessun intrigo, nessun problema politico, niente coinvolgimento dei servizi segreti internazionali. Solo un dramma familiare sulla pelle di un’altra ragazza. La notizia è arrivata al Tg La7 dalla Procura di Roma. La reazione di Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela, è stata molto dura. Pietro si è detto “furioso” e ha annunciato una conferenza stampa già per martedì 11 luglio.
Ha affermato che si vuole scaricare un problema enorme su una famiglia. Proprio la stessa famiglia che non è mai stata avvisata di indagini sulla pista che portava allo zio Mario Meneguzzi. In conferenza stampa Pietro Orlandi ha chiesto agli inquirenti vaticani di andare a sentire il gendarme che qualche anno fa gli aveva rivelato che nella Santa Sede ci sono “tre o quattro cardinali che con i ragazzini e le ragazzine…”
Inoltre, continuava il confidente, la gendarmeria era subito andata da loro mostrando la fotografia di Emanuela. Volevano sapere se avevano qualche responsabilità. Così secondo Pietro il procuratore di Giustizia del Vaticano, Alessandro Diddi, non è in grado di condurre un’indagine così importante. E riemerge la questione della pedofilia in Vaticano.
L’auspicio di Pietro Orlandi è che ora Papa Francesco prenda in mano il caso, e che in Italia si faccia la commissione parlamentare d’inchiesta.
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